mercoledì 9 dicembre 2015

ITALIA SGOZZ TALENT





Lo so. Avrete appena letto questo titolo e penserete che si tratti di un refuso, che io non conosca affatto la lingua inglese o... ancora peggio, che io abbia deciso di sposare le tesi dei jihadisti di Daesh, i terroristi “tagliatori di teste”. Niente di tutto questo. Il titolo è la perfetta riproduzione del mio pensiero e non ha nulla a che fare con movimenti integralisti arabi. Ciò che voglio dire è che la meritocrazia è una sana istituzione contro la quale l'Italiamappare sempre più vaccinata. Accade che un Assessore di Pinerolo ripeta un giorno sì e l'altro pure il termine “sfigati” per indicare coloro che sono più sfortunati (economicamente, socialmente, fisicamente).Tutto ciò allo scopo di criticare la presentazione di una mozione sul baratto amministrativo, irrealizzabile secondo lui, degno di un servizio giornalistico secondo Milena Gabanelli di Report. Ex-Ministri della Repubblica definiscono i giovani italiani “choosy”, bamboccioni, viziati, figli di papà, ancora “sfigati” (se non si laureano in tempi stretti). Altri, attualmente in carica, ne contestano l'attaccamento a principi costituzionali e la non propensione a cambiar Paese per lavorare. Il pendolarismo dei nostri avi, nell'era globale, è fatta di biglietti Ryan Air o Freccia Rossa anziché di treni, tram e autobus, lenti, affollati ed inquinanti. In tutti questi discorsi che vorrebbero allinearci alla mentalità del Nuovo Millennio mancano principi cardine della Società precedente e di cui, sostanzialmente, sento la mancanza. La qualità, il talento... non sono contemplate. La nostra vita e la nostra felicità ne pagano le conseguenze. Benvenuti nel futuro: Italia sgozz talent.
Pier Giorgio Tomatis

martedì 13 ottobre 2015

Il gufo vien di notte



Non passa giorno che il nostro Presidente del Consiglio (in puro stile berlusconiano) anziché migliorare la situazione economica e sociale del Paese rigetta le critiche che da più parti riceve bollandole come disfattiste, gufesche, jettatorie. In Giappone, dove si trova per una visita ufficiale, giungono le sue ultime dichiarazioni: "Ci sono due Italia: una che ci prova e una che si lamenta solo. Certo c'è tanto da cambiare al sud come al nord, ci sono tanti problemi ma c'è tanto che funziona. E a me pagano per provarci". Ascoltate queste parole, noi di Pinerolo Attiva ci sentiamo di dirle qualcosa...

Signor Presidente ci permetta (il “ci consenta” lo lasciamo tranquillamente a Lei) di spiegarle la profonda differenza tra quello che dice e quello che c'è. Dandole fiducia (ne è abituato) crediamo che esistano realmente due italie, una che si da da fare e non si lamenta ed un'altra che si da da fare e si lamenta (questa definizione, già cozza con quanto afferma da tempo). E' ovvio pensare che coloro che si lagnano almeno una, piccola, ragione per dolersi la debbono pur avere. Non crede, anche Lei, che la buona Fede non sta sempre tutta da una parte sola? Bene, una volta che ci troviamo concordi su questo punto analizziamo un altro nodo cruciale: le grandezze di queste due italie. Se esse sono equivalenti o, meglio ancora, quella che la critica è minoritaria allora Lei ha ragione di lamentarsi (che poi, in ultima analisi, è esattamente il comportamento che tanto biasima nell'atteggiamento di chi non apprezza il Suo lavoro). Pinerolo Attiva non è un Partito come il Suo PD e perciò si limita a comportarsi come un megafono che mette a disposizione della cittadinanza pinerolese e come tale non entra nel merito delle critiche o degli encomi che essi intendono rivolgere all'Amministrazione (che eccezion fatta per PRC/NCD ha una maggioranza simile a quella che appoggia il Suo Governo) o alla Giunta Regionale o all'Esecutivo Nazionale. Se il numero e la natura degli scontenti è nettamente superiore a quello degli appagati qualche domanda in merito, Signor Presidente, noi ce la porremmo se fossimo al Suo posto. Ci provi. Accetti questo consiglio da chi, a differenza Sua, non viene pagato ma agisce su base completamente volontaria e di questo fatto ne fa un vanto.

martedì 2 giugno 2015

Elezioni regionali 2015

Pier Giorgio Tomatis

domenica 12 aprile 2015

Hip Hip... Hipster




Da un lato ci sono gli yuppies e dall'altro gli hipsters. Da una parte c'è l'edonismo reaganiano, dall'altra quello renziano. Negli anni '80, e quelli di una certa età se lo ricordano bene, c'erano giovani professionisti urbani, molto aggressivi, affamati di denaro, di successo, di piacere e piaceri. Erano la risposta individualista, egoista, maschilista, capitalista, al tramonto del comunismo di un'Unione Sovietica che stava arrancando prima di esalare il suo ultimo respiro, travolta da inefficienze, corruzione e decadimento. Erano la punta dell'iceberg di una rivoluzione culturale e di costume che voleva opporsi alla Storia del ventennio precedente che aveva prodotto gli hippies e cancellarne le ultime retoriche velleità intellettuali del mito. Gli yuppies volevano ammonire le precedenti generazioni e lanciare un monito: “abbiamo vinto la battaglia contro l'ideologia contrapponendo un esasperato materialismo storico. La vittoria è stata totale e non sono stati fatti prigionieri”. I portavoce non ufficiali ma riconosciuti dalle masse sono stati i film di Rambo e i personaggi alla Clint Eastwood. Il massimo splendore dell'edonismo creato dalla Reaganomics si è avuto con gli squali della Lehman Brothers o furbetti come Bernard Madoff. Tutti falliti o arrestati. L'hipster e l'edonismo renziano rappresentano una mano di smalto su di una struttura agonizzante che rinuncia volutamente alle disillusioni che le ideologie si trascinano dietro e la voglia di ridisegnare il futuro dando il benservito al pesante fardello del passato. L'hipster è amorale, anarchico, gentile e civilizzato anche se fino al punto da diventare esasperatamente decadente. Cerca di evitare il dolore, controllare le proprie emozioni e di mostrarsi seducente. Cose che un rottamatore, esperto di comunicazione televisiva saprebbe essere e fare anche ad occhi chiusi. Ed è proprio con gli occhi chiusi che il nostro Paese affronta le incognite dell'indomani. Da un lato si trovano il Berlusconismo e dall'altra il Renzismo. La padella o la brace.

giovedì 2 aprile 2015

Il cerchio nel “grano”





Una favola che in questo periodo sto riascoltando molte volte, direi anche troppo, è che la corruzione è alta perché c'è eccessiva presenza dello Stato nell'economia italiana. Restringiamo il cerchio del grano per spiegarci meglio: la corruzione segue la cosa pubblica. In realtà no. Questa semplificazione è del tutto sbagliata e volutamente equivoca. La corruzione segue il denaro, l'affare (o il malaffare, per intenderci) ed è facilmente dimostrabile che se un appalto pubblico è un'occasione più che ghiotta per chi intende “vincere facile” ponendo in essere comportamenti scorretti e delittuosi è altrettanto vero che anche i rapporti tra privati sono spesso opachi e nascondono interessi personali. La mazzetta, la regalìa, non sono dei virus propri di un mercato deresponsabilizzato ed ingessato come quello che vede protagonisti settori dello Stato ma di una cultura che è diffusa nell'aria che respiriamo o nel cibo che mangiamo. Tecnicamente, la corruzione indica la condotta di un soggetto che, in cambio di danaro oppure di altre utilità e/o vantaggi che non gli sono dovuti, agisce contro i propri doveri ed obblighi. Ora, capite che chiunque può essere protagonista di un fatto di corruzione: dal dipendente che rivela segreti aziendali a quello che omette un controllo qualità o acquista beni per la propria ditta o servizi sapendo che è possibile ottenerne di migliori e a minor costo. Più grande è una azienda, più lontani sono gli occhi della proprietà e maggiori pericoli si corrono. Il vecchio detto “chi sorveglierà i sorveglianti” si adatta a qualunque livello, gerarchia o ruolo. Il cerchio (del malaffare), dunque, si stringe attorno al “grano” e non alla tipologia di proprietà. E sgombriamo la mente da possibili equivoci, la corruzione non è propria dei sistemi ricchi. Anzi, laddove c'è povertà ci sono anche minori mezzi di informazione, cultura e vigilanza. Quest'ultima, infatti, è il vero nocciolo della questione. La corruzione è inversamente proporzionale al livello di allerta della vigilanza. Più esso è alto e più il malaffare si stempera. Più è basso e più si coagula e rafforza...
Pier Giorgio Tomatis

martedì 24 marzo 2015

Antipolitically correct





Abbiamo sentito tanto usare il vocabolo “antipolitica” ma sappiamo realmente quale sia il suo significato? Chiariamo anzitutto che il vero significato non esiste. Su ogni dizionario della lingua italiana non compare questa voce se non per l'interpretazione nella consuetudine del suo uso che viene fatta dai mezzi di informazione. Proviamo però a fare un ragionamento etimologico. Anti è un prefisso che all'interno di parole composte esprime contrasto, opposizione a teorie (dottrine, norme, posizioni politiche, culture, stati, ecc.), lotta (prevenzione, cura, impedimento). Politica significa (anche) attività di chi partecipa attivamente alla vita pubblica. Da queste due definizioni si evince che l'antipolitica è quella attività di contrasto alla partecipazione attiva alla vita pubblica. Qualunque comportamento venga messo in atto per ostacolare, impedire, inibire, non permettere, proibire, interdire, bloccare, vietare l'impegno e l'intervento di ogni cittadino (iscritto e non) a fornire il proprio contributo alla democrazia ed al bene comune è da considerarsi (oltre che sciocco e pericoloso) anche inconciliabile con quei valori che si afferma di voler difendere. Dunque, fare opposizione non significa andare contro le più banali regole democratiche, anzi, ne è il più naturale fondamento. Opporsi sistematicamente a qualunque proposta in discussione o influenzare il voto di propri associati con la minaccia dell'espulsione appartengono sicuramente ad ipotesi di antipolitica. L'astensione dal voto, l'apologia della stessa e la sua lode sono altri esempi.

giovedì 19 marzo 2015

Love Act




Chi l'avrebbe mai pensato. Con il nuovo secolo, lavorare è diventato sinonimo di fare all'amore, essere assunti ad un matrimonio, il licenziamento (l'abolizione dell'art. 18) al divorzio, l'apprendistato al fidanzamento. Lo sostengo perché mentre il Parlamento continua a discutere e a temporeggiare sulla definizione ed approvazione del cosiddetto "divorzio breve", dalle pagine di Avvenire esordisce una proposta formulata da un lettore, tale Ivano Argentini, nella rubrica delle lettere al Direttore (Marco Tarquinio) di "matrimonio a tutele crescenti". Lasciando da parte la similitudine col Job Act, almeno per quanto riguarda la descrizione del contratto più comune, mi fa sorridere la possibilità che si possa anche solo parlare di matrimonio a tempo indeterminato con possibilità di divorzio senza giusta causa ma con indennizzo economico. E poi i Co.Co.Co., i Co.Co.Pro., quelli a termine, gli interinali, quelli "a chiamata", gli stagionali, quelli a cottimo e a ore. Ovvio, direte, sto esagerando. Come si possono unire due cose così diverse tra loro. L'amore tra due esseri umani è quanto di più puro, bello, gioioso, possa esistere. Un conto è l'economia e un altro è la vita. La vita.. già, la vita. Ripensandoci, anche il lavoro è vita. Magari, non sempre ci rende felici ma è pur sempre una base sulla quale costruire una famiglia, sia essa formata da una coppia di fatto o celebrata, da una navigata o appena formata. Dunque, è realmente così? Lavoro e sesso andranno di pari passo? C'è già chi lo ha fatto, mescolando al proprio status sociale una relazione occasionale o stabile tanto che è statisticamente provato che è proprio sul luogo di lavoro che è più probabile che due individui si incontrino per la prima volta, che inizino ad innamorarsi l'uno/a dell'altra/o, che stabiliscano le basi del loro rapporto. Tutto sommato, questa analogia non sembra essere così sballata come appare di primo acchito tranne quando si aggiunge un solo piccolo elemento: il Sindacato può essere paragonato all'autorità ecclesiastica o viceversa? Qui i dubbi diventano più grandi. Non credo che il Clero abbia delle figure lontanamente paragonabili a Landini o Camusso, né che il Sindacato possa vantarsi di avere una guida come quella di Papa Francesco. Dopotutto, occorre "dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio"...

venerdì 13 marzo 2015

C'era una volta... la Crisi


Dall'ultimo trimestre 2008 è una delle parole più usate dai mezzi d'informazione e più ricercate dalla gente comune. Ha superato persino il vocabolo "sesso" che pure è cliccatissimo su ogni motore di ricerca. Quasi un secolo fa il mondo ha vissuto una situazione analoga ma i suoi effetti nefasti si sono protratti per un lasso di tempo inferiore e ha causato l'affermarsi, inizialmente in Germania, della follia nazista. Gli economisti di tutto il mondo hanno sbagliato costantemente le previsioni a breve, medio e lungo termine anche perché l'Europa ha deciso di combattere gli effetti della mancanza di liquidità ascoltando le sirene della scuola di Chicago (sì, proprio quella che osannava l'Argentina di Menem e il Cile di Pinochet) e non seguendo le manovre keynesiane (ma sarebbe meglio dire rooseveltiane) messe in atto dagli Stati Uniti.
Pinerolo, cittadina in provincia di Torino, non è distante da quanto sta accadendo in tutto il mondo. Il mercato immobiliare è al collasso e le poche grandi aziende che erano rimaste col nuovo secolo hanno chiuso, sono state smembrate, navigano in acque torbide. Per fortuna, la Crisi non c'è più. Il peggio se lo si è lasciato alle spalle perché sta arrivando, è arrivata (o è già passata), la "ripresa".
A dibattere e confrontarsi con la cittadinanza su questi temi venerdì 20 marzo alle ore 20,30 nel Centro Sociale di Via Clemente Lequio 36 a Pinerolo ci saranno: Fabio Giordano (imprenditore), Laura Zoggia (Sindaca di Porte), Luca Barbero (Presidente del Consiglio Comunale di Pinerolo), Elvi Rossi (già Presidente ATC), Claudia Porchietto (Consigliera regionale), Gianna Gancia (già Presidente della Provincia di Cuneo). Moderatori della serata saranno gli autori del Circolo Artistico e Letterario Hogwords e della omonima Casa Editrice. Il pubblico potrà intervenire e dire la propria.

L'ingresso è gratuito.